DSAEK
La cornea deve la sua trasparenza alla particolare e regolare disposizione delle fibre collagene, e dalla sua corretta idratazione, cioè percentuale di acqua.
La funzione dell’endotelio corneale è di mantenere una percentuale d’idratazione inferiore al 65%, oltre a cui la cornea diventa edematosa, quindi opaca.
In alcune condizioni patologiche in cui l’endotelio è danneggiato tale meccanismo fisiologico è insufficiente.
In tali circostanze l’unica possibilità per ripristinare la funzione visiva è rappresentata da un intervento di trapianto di cornea o cheratoplastica.
Fino a poco più di 15 anni fa l’unica procedura tecnica di trapianto di cornea era rappresentata da una cheratoplastica perforante a tutto spessore (PK). Le più recenti, e in continua evoluzione, tecniche selettive o “lamellari” sono attualmente le più adottate, in quanto che consentono la sostituzione dei soli strati corneali effettivamente compromessi, preservando quelli funzionalmente integri.
La DSAEK (Descemet’s Stripping Automated Endothelial Keratoplasty) è ad oggi la tecnica di scelta nel trattamento delle disfuzioni dell’endotelio corneale, e si realizza sostituendo selettivamente lo strato di tessuto compromesso.
INDICAZIONI
Le Patologie che compromettono la funzione endoteliale, di cui la distrofia endoteliale di Fuchs, o cornea guttata, è una delle patologie più frequenti.
La seconda condizione per frequenza è la cheratopatia bollosa in pazienti pseudofachici, cioè operati di cataratta (Figura 1); meno frequenti sono gli scompensi endoteliali in pregresse cheratoplastiche perforanti o forme di distrofie endoteliali congenite come la CHED (Distrofia Endoteliale Congenita Ereditaria) e la PPD (Distrofia Polimorfa Posteriore).
Figura 1 Cheratopatia bollosa in paziente pseudofachico
VANTAGGI
In tutte le condizioni di scompenso endoteliale, in assenza di opacità centrali nella cornea del ricevente, cioè anteriori al lembo che si trapianta, la DSAEK può avere un successo funzionale nel giro di poche settimane (Figura 2 e 3), a differenza dei 12-18 mesi necessari in seguito ad una cheratoplastica perforante convenzionale.
Altri vantaggi sono la possibilità di eseguire l’intera procedura a bulbo “chiuso” (quindi più sicura, riducendo sensibilmente il rischio di complicanze severe ), e attraverso incisioni di piccole dimensioni, che modificano in minima parte l’astigmatismo corneale preoperatorio.
L’innervazione corneale è preservata, e le complicanze legate alle suture praticamente annullate, in quanto quest’ultime vengono rimosse già un mese dopo l’intervento. Inoltre il trapianto di meno tessuto rispetto alla perforante riduce l’incidenza del rigetto corneale.
Figura 2 Immagine alla lampada a fessura ottenuta 2 giorni post-DSAEK con bolla d’aria in camera anteriore
Figura 3. 30gg Post-DSAEK dopo asportazione sutura
COMPLICANZE
Le complicanze intraoperatorie sono minime e paragonabili a quelle di un normale intervento di cataratta. In rari casi si possono avere complicanze legate all’introduzione e lo spiegamento della lamella prima nelle manovre di posizionamento all’interno del bulbo (ribaltamento del lembo, decentramento, etc.).
Le complicanze postoperatorie sono rappresentate dal fallimento precoce del lembo (scompenso primario) che si manifesta con l’assenza di trasparenza corneale dovuta ad insufficiente vitalità del lembo stesso.
TERAPIA
La terapia postoperatoria è uguale a quella prescritta in seguito a cheratoplastica perforante, basata cioè somministrazione di cortisone+ antibiotico per via locale in gocce (in casi a rischio anche per via sistemica) nelle prime settimane poi solo cortisone locale, protratta per circa 6 mesi dopo l’intervento.
È utile ricordare che, sebbene il recupero funzionale dopo DSAEK sia sicuramente più rapido rispetto ad una cheratoplastica perforante, il rischio di rigetto immunologico è sempre elevato; per tale motivo una sospensione della terapia in tempi brevi espone il paziente ad un maggior rischio di scompenso endoteliale.
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